sabato 18 settembre 2010

LIBRI/EVENTI : PUBBLICO ATTENTO, SOPRATTUTTO DONNE, A IL SALOTTO DELLE 6 A TARQUINIA CON ALFIO CARUSO : "“FALCONE E BORSELLINO AVEVANO CAPITO TUTTO"


Un pubblico interessato e attento, composto per gran parte da donne, ha accolto Alfio Caruso e Pasquale Bottone nella sala consiliare, accompagnati dall'assessore alla cultura, Centini, che ha ricordato i tanti cittadini che combattono la mafia e l'importanza che ci sia chi descrive il loro impegno e li fa conoscere, facendo il padrone di casa al posto del sindaco, assente per motivi istituzionali, che ha poi raggiunto il palazzo comunale, seguendo con interesse, tra i suoi concittadini, le ultime fasi dell'incontro.
Bottone ha dato subito il benvenuto ai convenuti per questo “fuori porta”. “Sono anni affollati e caotici per il 'fu bel Paese' – ha incalzato il conduttore – oggi definibile 'mal Paese', dove il bene comune sembra una superstizione ideologica per vecchi moralisti, dove si fa fatica a discutere anche di regole basilari. Il malaffare è inevitabile appendice di un affarismo senza scrupoli. Borsellino non scese mai a compromessi, fino all'estrema soluzione.

 Il suo omicidio è una delle pagine più scure della nostra storia. Alfio Caruso ci spiega come la strage di via D'Amelio sia stata ordinata da Milano”. Il giornalista e scrittore ha ringraziato Bottone e l'amministrazione per l'occasione d'incontro, e ha poi iniziato ad illustrare la sua tesi. “La strage in cui persero la vita Borsellino e la sua scorta è uno dei misteri italiani che non sarà mai risolto, come la prima che avvenne in terra siciliana, nel 1946 quando furono uccisi 8 carabinieri, nel tentativo di bloccare l'avvento delle regole democratiche. Non arriveremo mai alla verità perché non sappiamo, a tutt'oggi, chi aveva in mano il telecomando che ha fatto esplodere la 126 imbottita di tritolo e nemmeno dove si fosse posizionato. Inquietante che nessun collaboratore di giustizia abbia svelato qualcosa, perché non è stata la mafia, che solo partecipò, al contrario di Capaci, dove i responsabili sono stati individuati.
Il tempo gioca contro di noi, sono passati già 18 anni, abituiamoci a convivere con questo. Falcone doveva essere fermato e non arrivare a Milano, dopo la nomina a procuratore nazionale antimafia, in quanto aveva già stabilito che la battaglia andasse combattuta proprio lì; aveva già gli incartamenti dell'operazione San Valentino del 1983, con arresti degli imprenditori accusati di essere in accordo con la mafia. Una sequela di personaggi che spuntano, crescono, si sviluppano, stringono affari: i nomi sono sempre gli stessi. E' vero che la mafia fa i suoi affari in Sicilia e traffica tra la Sicilia e l'America, ma senza i capitali lombardi la mafia non avrebbe potuto moltiplicare per mille i propri introiti”.
Un argomento su cui Bottone incalza Caruso, ricordando l'incontro tra Borsellino e Di Pietro, agli inizia di tangentopoli. “Era il 27 giugno 1992, Borsellino disse a Di Pietro che la mafia faceva affari in Lombardia – conferma Caruso - che il cuore degli appalti e della corruzione era a Milano, la testa in Sicilia e la cabina di regia era unica. Di Pietro lo prese per matto, ma guardiamo cosa è accaduto in questi mesi, diciotto anni dopo scopriamo la 'cricca', una profezia che ha continuato ad avverarsi. Cosa nostra sapeva che Falcone e Borsellino dovevano morire, e lui lo sapeva benissimo: 'Sono un morto che cammina' disse, e chiese di non avere più la scorta, 'risparmiate le loro vite'. Non fu ascoltato”.
Nel libro Caruso riporta in modo dettagliato i fatti riportati nella sentenza del processo per la strage di Borsellino: “Gli incontri con Mori, l'interesse a conoscere nel dettaglio le carte della Duomo connection – ha spiegato lo scrittore - i rapporti tra mafia e Ferruzzi Holding, che comprato l'Anonima calcestruzzi dai Buscemi, la notte prima degli arresti ordinati da Falcone e i relativi sequestri. Ci fu anche una cosiddetta 'riunione del tavolino': un accordo per mettere le mani sul piano speciale che portava sull'Isola 6 mila miliardi all'anno. Nel '89 la sede della Ferruzzi ospitò l'incontro dove veniva decisa la spartizione gli appalti: per ogni lavoro il 2.5% andava alle famiglie mafiose della zona, 2.5% ai politici di riferimento, 1% a Riina, che arrivò a dire 'sono come lo Stato, riscuoto le tasse'. A giugno del '92 – prosegue Caruso - in un'intervista al Corriere della Sera, Borsellino raccontò il ruolo di un 'oscuro' ragioniere di Milano che per dieci anni gestì il business del riciclaggio, non solo per la mafia siciliana ma anche per quella estera, poi arrestato dalla Dea americana. Per capire il valore del suo 'lavoro' ogni settimana arrivavano dalla Sicilia 5 miliardi in biglietti da 100 mila lire, inseriti nella cassetta di frutta, esattamente quanti ne entravano. Falcone e Borsellino avevano capito tutto”. Incalzato dal pubblico e dalle domande di Bottone, Caruso è tornato a quel 19 luglio 1992, quando Borsellino si trovò sotto casa della madre per portarla ad un visita. “Un particolare che poteva conoscere solo chi teneva sotto controllo la linea della madre – ha spiegato l'autore del libro -, che poi era Pietro Scotto, il fratello di Gaetano, uomo d’onore conosciuto come Tanino. Inoltre nessuno si preoccupò di mettere un divieto di sosta in via D'Amelio, che in pratica è un budello, cosa che veniva chiesta da almeno un mese. E poi il mistero del telecomando: chi ha premuto il bottone non poteva essere lì; secondo Genchi era sul Monte Pellegrino, ma per i giudici c'è troppa distanza. E poi il furto della 126, poi imbottita di esplosivo, per anni attribuito a Scarantino, realizzato invece da Spatuzzo, che ha confessato e iniziato a collaborare solo dopo essere stato lasciato dalla moglie, che gli impediva di parlare”.
Questo e tanto altro è ben descritto nel libro di Caruso “Milano ordina uccidete Borsellino. L'estate che cambiò la nostra vita”, e se si chiede all’autore se ha paura delle sue affermazioni risponde: “Se quello che ho scritto non fosse vero avrei ricevuto sette querele a pagina, e invece nulla. Inoltre ci sono quattro diversi notai che hanno un documento dove è indicata la mia visione sulla strage Borsellino, su chi da dato l'ordine, perché pensava di essere a rischio con le sue inchieste. Se mi dovesse succedere qualcosa diventerebbe di dominio pubblico. La mia assicurazione sulla vita”.

Caruso, prima di dedicarsi alla firma delle copie del suo libro, trova anche un momento per parlare della Sicilia di oggi: “Il governatore Lombardo sta per varare il suo quarto governo, ma nell'isola tutto gira intorno al suo movimento politico, che si basa sull'occupazione millimetro per millimetro del territorio”.

Nessun commento:

Posta un commento